9 settimane e mezzo
Il titolo per questa nona newsletter è stato semplicissimo, anche se ero indeciso tra questo e “la mia nona sinfonia”, ma non ho voluto peccare di presunzione.
Ecco gli argomenti scelti per voi:
Donnavventura è un tributo alla banalità.
Sui social è facile ci dicano che siamo belli esteticamente, ma è davvero così? O è solo merito dei filtri?
Sono due settimane che non uso più Netflix, come sto?
Sandro Tonali dice addio al Milan.
Abbiamo veramente bisogno di un programma come Donnavventura?
Nel primo punto dell’elenco sono stato un po’ duro, ma è meglio una scomoda verità di una comoda bugia.
Lo scorso weekend sono finito per caso sintonizzato sul docu-reality trasmesso da Rai 2.
Per chi non conoscesse il format, cito da Wikipedia:
“Donnavventura è un docu-reality che coniuga la passione per l'avventura a quella per il viaggio in terre estreme. Le protagoniste sono giovani donne pronte a vivere un'esperienza straordinaria negli angoli più spettacolari del pianeta.”
Le ragazze, tutte giovani e di bell’aspetto, nella maggior parte dei casi modelle, nell’intenzione del format mostrano le proprie “avventure” in giro per il mondo: dal deserto del Sahara, all’Oceano Indiano, per poi passare agli USA, alle Hawaii ecc.
Nel corso delle varie stagioni della serie, le reporter (non sempre le stesse) di fatto girano il mondo mostrando le bellezze naturalistiche e culturali delle nazioni che visitano.
Finora tutto bello, l’idea è ottima e funziona, però…c’è un però: I testi, la loro interpretazione e quindi il prodotto finale, risulta essere totalmente privo di personalità o qualunque caratterizzazione.
Nella puntata che ho visto, dedicata alla Svizzera, a commento delle immagini mozzafiato dei panorami svizzeri, ripresi tramite drone, hanno usato quasi sempre testi banalissimi e il massimo pensiero è stato descritto con frasi tipo: “Bellissimo! Meraviglioso, che spettacolo!” ecc.
L’ “avventura” delle ragazze è introdotta anche dalla voce narrante (anch’essa femminile), che in alcuni casi dice “adesso le ragazze si possono rilassare con un meritato riposo in una SPA dopo una stancante giornata di lavoro…”.
Una stancante giornata di lavoro tra posti meravigliosi, sponsor e partner che si occupano di ogni spostamento su mezzi più che confortevoli, ottimo cibo e immagino una faticosissima serata a montare il girato con la migliore attrezzatura disponibile. Avventurosissimo.
L’apice dell’imbarazzo l’ho raggiunto quando le nostre amiche hanno potuto provare l’ebrezza del volo in parapendio tra le montagne svizzere. Ovviamente un’esperienza meravigliosa e da togliere il fiato per chiunque.
Mi sarei aspettato solo un commento prima e dopo l’esperienza, dove a questo punto si, la spontaneità l’avrebbe giustamente fatta da padrone, invece mi sono dovuto sorbire gli “AAAAAA!”, “UUUUUH!” “AIUTOOOOOO” mentre erano in volo. Pazienza, sarà per un’altra volta, dai.
Non mi è mai piaciuto questo programma e il modo in cui è realizzato.
Di avventuroso non c’è nulla, ma è più un presentare “pacchetti viaggio” tra hotel di lusso, Spa e posti da sogno. Sull’aspetto naturalistico niente da dire, ma non è merito di nessuno, appunto.
La mia personale risposta alla domanda che pongo all’inizio, alla fine è semplice: Forse no.
Siamo davvero belli come ci dicono i like sui social?
"Ogni scarrafone è bell' 'a mamma soja”, dice un vecchio adagio popolare, questa tremenda verità è stata amplificata molto da quando ci sono i social.
Ho letto un bellissimo articolo su Rivista Studio a riguardo.
L’autrice, Clara Mazzoleni, scrive un pezzo molto approfondito su come la società moderna abbia cambiato la definizione di bellezza, trasformandola in fotogenia.
Ormai, complici le varie funzioni di abbellimento via software tramite i filtri dei vari Instagram, TikTok, addirittura Zoom ecc. ci siamo trasformati tutti in versioni “filtrate” di noi stessi. Il nostro volto sarà anche diventato libero da imperfezioni, più fotogenico e quindi più “vendibile” nel mercato dei like, ma al caro prezzo di essere quasi fuori da noi e non più personale.
Il pezzo mi ha fatto riflettere molto anche sul mio essere presente esteticamente sui social e sui ragionamenti che faccio ogni santa volta, prima di pubblicare una foto o una storia instagram con la mia faccia.
La ricerca del filtro per in qualche modo abbellirmi, è automatica. È una cosa che faccio proprio senza pensarci, tipo quando chiudi la porta di casa mentre stai uscendo.

La ricompensa per la lunga ricerca del filtro o effetto giusto per una foto con il mio volto, o a figura intera, è il numero di like.
Sarò sincero: non riesco ancora del tutto a fregarmene del numero di like e del fatto che una foto che piace pubblicare a me, possa non piacere a nessuno di quelli che mi seguono e che in fondo vada benissimo così e, come direbbero a Roma, sticazzi.
Il pensiero sbagliato che faccio è che se non ottengo un numero X di like al post, ALLORA significa che non è una bella foto, che non piaccio e quindi non esisto online.
Vi tranquillizzo subito, la situazione non è così drammatica, dormo lo stesso la notte, ma soprattutto quando ero più giovane e vedevo amici e altri ragazzi con la propria immagine più “validata” dai like, un po’ ci rosicavo.
Ho cambiato totalmente idea quando, offline, mi sono reso conto che non fossi circondato da modelli e modelle, come invece vedevo sui social e che non ci sono belli e brutti, ma ci sono solo persone diverse, ciascuna con la propria bellezza e imperfezione, che non ha senso nascondere con un filtro digitale.
Ormai i filtri li utilizzo principalmente per sistemare la foto in generale con una primitivissima color correction, ma sulla mia faccia non metto più niente che non sia una crema dopobarba.
Tre settimane senza Netflix
Non nascondetevi dietro un dito, l’avete fatto anche voi o ci state ancora provando.
La condivisione tra più persone, di un unico account Netflix è stata una pratica usatissima da moltissime persone in tutto il mondo, me compreso ovviamente.
A fine maggio scorso però, il colosso dello streaming ha cambiato le carte in tavola, impedendo questa ormai abusata abitudine e aggiornando le proprie condizioni di servizio. In sostanza, ora è possibile condividere lo stesso account con altre 3 persone, a patto che siano dello stesso nucleo familiare e che, in sostanza, vivano sotto lo stesso tetto, connessi alla stessa rete Wi-Fi e allo stesso indirizzo IP.
Di fatto è stata una manovra per impedire che un utente condividesse mail e password con altre persone (non solo amici, ma anche sconosciuti in certi casi) e permettesse la fruizione di Netflix anche a loro, tramite un singolo account.
Per ora il titolare dell’abbonamento, che forniva credenziali ad altre persone, può fare due cose:
aggiungere un utente extra al piano, pagando un contributo aggiuntivo di 4,99€ al mese;
trasferire il profilo con tutti i dati (suggerimenti, cronologia di visione, giochi salvati, lista personalizzata e le altre impostazioni) per l’apertura di un nuovo piano, a scelta tra i quattro profili di listino.
La manovra di Netflix, comunque, ha fatto registrare un netto calo degli utenti, me compreso.
Ma come sto adesso, quasi un mese dopo, senza Netflix? Vi dirò, sto bene.
Per fortuna le alternative non mancano.
Ho riscoperto Amazon Prime Video, che avevo sempre snobbato un po’, ho guardato alcune novità anche su Disney + e riscoperto il piacere di YouTube e delle live su Twitch. Insomma, non mi sono annoiato.
Se poi volessi, potrei recuperare il vecchio hard disk impolverato sul quale hem… avevo scaricato decine e decine di film nell’era pre-streaming. Chissà cosa ci troverò dentro…
Un addio dolorosissimo
L’ultimo punto di questo nono appuntamento avrebbe dovuto essere un altro (lo recupererò settimana prossima, è comunque attuale), ma gli eventi capitati mentre scrivevo hanno avuto la meglio e si è reso necessario un mio commento alla notizia calcistica della settimana: Sandro Tonali, ormai ex centrocampista del Milan, è stato ceduto agli inglesi del Newcastle, che pagano 70 mln di euro il suo cartellino e offrono al giocatore 8 milioni di euro più bonus.
È stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Tonali è stato un simbolo dell’ultimo Milan dello scudetto e di quello precedente alla clamorosa impresa di due anni fa.
È stato un giocatore a cui tutti i tifosi del Milan si sono subito sentiti legatissimi per diversi motivi: Si è sempre dichiarato milanista, fin da piccolo, pare abbia chiesto a S. Lucia la maglietta del Milan da bambino, si è ridotto lo stipendio pur di giocare con la maglia rossonera e a proposito di maglia, appena arrivato al Milan, ha chiamato Gennaro Gattuso per chiedergli se potesse indossare la sua numero 8, la maglia del suo idolo calcistico da bambino.
Insomma, ha incarnato il sogno di tutti i bambini (e uomini) tifosi del Milan: giocare per la squadra per la quale tifi. Non c’è niente di meglio al mondo.
Fine della storia? Macchè. Come ogni film che si rispetti, c’è un colpo di scena. Qualcosa che non ti aspetti, che modifica il naturale corso degli eventi. Quel qualcosa è rappresentato dalla moneta sonante.
Non sappiamo e forse non sapremo mai se Tonali sia stato messo sul mercato ufficialmente, fatto sta che alla prima offerta (oggettivamente irrinunciabile per il Milan) i rossoneri l’hanno valutata e il procuratore di Sandro ha riportato l’offerta del club inglese al suo assistito. La palla è dunque passata al centrocampista che ha accettato la nuova destinazione e la paccata di milioni sul suo conto corrente.
Quella che credevamo la nuova bandiera del Milan, il tifoso in campo, per sempre legato ai nostri colori, idolo eterno, si è sciolto come neve al sole al primo accenno di guadagno monstre garantito dalla ricchissima (ma vuota di valori) Premier League.
Adesso in molti danno responsabilità solo alla proprietà e deresponsabilizzano il ragazzo, come fosse un burattino in mano a gente senza scrupoli e come se non avesse potuto in qualche modo rifiutare la nuova destinazione (avete presente un certo Francesco Totti? Fu cercato dal Real Madrid e più volte proprio dal Milan, ma ha sempre rifiutato diventando così eroe e Re di Roma).

Sono molto dispiaciuto per quanto è successo. È la morte definitiva del concetto di bandiera.
È come guardare il film “Batman: The Dark Knight”, in cui il supercattivo Joker alla fine arriva a corrompere chi si pensava incorruttibile, il procuratore Harvey Dent.
Oltretutto mi tocca sul personale, come molti altri tifosi, perché mi ero fidato della favola Tonali, eterno rossonero, al punto di farmi regalare la sua maglietta fresca di scudetto due anni fa. Che ne sarà di quella maglia che indossavo con tanto orgoglio fino a poche settimane fa?
Credo resterà nell’armadio e d’ora in avanti gli preferirò sempre altre magliette rossonere che per fortuna ho in abbondanza, tutte senza nome.
Perché alla fine questo resta a noi tifosi: solo la maglia.